Di seguito si danno ampi stranci per una ricerca sul laicato francescano a San Marco in Lamis. la foto è riferita all’eremo di sant’antonio abate a circa 800 m dal conveno di stignano verso est. dove erano presenti i Fratres de ordine tertio Humiliatorum de Stingano

 “Sappiamo dell’esistenza dei Fratres de ordine tertio Humiliatorum de Stiniano nel XIV sec. ma purtroppo non conosciamo molto della vita che svolgevano questi fratelli. Ne sappiamo l’esistenza perché largamente citati in un testamento[1] in loro favore, ma non si conosce altro; si è riusciti ad individuare l’eremo che viene citato nel testamento ma non conosciamo come fosse utilizzato l’hospitium heremitae nella valle di Stignano.[2] Dal testamento si evince che magister Bonaventuras aveva grande stima di questi Fratres de ordine tertio Humiliatorum per nominarli esecutori testamentari. Il 5 gennaio 1330 il magister Bonaventuras, figlio di Petri, habitans in porta a Sancti Marci in Lamis nel fare il testamento dichiara di istituire erede tutti i poveri di San Marco e concede ai Fratres de ordine tertio Humiliatorum de Stiniano l’impegno di assolvere a questo delicato compito (In primis volo et statuo et dico et nomino meo proprio hore quod pauperes verecondi huius civitatis sint mei heredes et eos mihi heredes instituo et ita quod omnia mea bona debeant dispensari per Fratres de ordine tertio Humiliatorum de Stiniano). Nel redigere il testamento dispone anche diversi legati sia per lo hospitalem Sancti Antonii abat de Sancti Marci che per il Conventui fratrum Minorum (forse di San Giovanni Rotondo) e per il monasterii S Jhoavven de Lama, all’ospedale dona oggetti materiali mentre ai frati e ai monaci dona principalmente libri. Dona un hospitium heremitae meum quod habeo in valle stineanum dicto sancto Anthonio ai dictis fratribus de ordine tertio humiliatorum in modo che abbiano un hospitium heremitae ipsis fratribus. (Item volo et statuo et dico et nomino quod hospitium heremitae meum quod habeo in valle stineanum victo sancto Anthonio perveniant dictis fratribus de ordine tertio humiliatorum et ipsum hospitium heremitae ipsis fratribus lego et iudico). Nel donare molti utensili allo “hospitalem Sancti Antonii abat de Sancti Marci” specifica che Omnia vero alia, sicut cathedra, bancha, asseres et vassa et utensilia que non erunt necessaria remaneant fratribus heremitae. Tra gli altri obblighi che vengono dati ai Fratres de ordine tertio Humiliatorum si specifica che i libri che sono nel suo armadio devono essere venduti dai Fratres de ordine tertio e i denariis debeant dare Conventui fratrum Minorum, ma se i francescani minori vogliono i libri non vanno venduti ma vanno dati a loro mentre duo volumina debeant dare monasterii S Jhoavven de Lama compresi omnes libri scolarum (Item iudico quod omnes libri mei cum armario debeant pervenire fratribus heremitae, qui fratres debeant vendere illos libros quam cito potuerint et de illis denariis debeant dare Conventui fratrum Minorum. Sed si fratres Minores voluerint potius eligere sibi libros cum armario, excepta soma magna derivationum que est in duobus voluminibus grossis, que duo volumina debeant dare monasterii S Jhoannen de Lama. Item iudico quod omnes libri scolarum, quos habeo in pignore, assignentur fratribus de Sacto Jhoannes et omnes illi denarii quos debeo habere a scolaribus perveniant ipsis fratribus, et ipsi Fratres habeant potestatem eos erigendi).

Se questi erano terziari secolari o regolari non lo sappiamo. Nel ricevere l’hospitium heremitae nella valle di Stignano a quale uso fosse destinato non si sa, ma alcuni secoli dopo compare nell’elenco degli eremi sotto le dipendenze del padre guardiano di San Matteo e in carte notarili ottocentesche si ricorda ancora la grotta eremitica con vigna. Fino a quanto ebbero una vita comunitaria questi Fratres de ordine tertio Humiliatorum  non lo sappiamo, Ulteriori studi e approfondimenti ci faranno capire meglio quale potrebbe essere stata la loro genesi ed il loro sviluppo successivo.”

 

Eremiti francescani

Gli eremiti che vivevano nel Gargano occidentale erano molti e attualmente si ha anche una discreta documentazione sulla loro vita e sui loro eremi,[3] non è questo il luogo per ripetere tutte le ricerche fatte e quindi non mi dilungherò oltre, farò solo brevi accenni.

Nello studiare gli eremiti e gli eremitaggi mi sono reso conto che la maggior parte degli eremiti era di fuori zona e che sostava presso gli eremi per un certo periodo di tempo e solo alcune volte per tutta la vita, non vivevano completamente isolati ma avevano un certo legame tra di loro. Diversi erano gli eremiti che nel fare il pellegrinaggio a Monte Sant’Angelo, o di ritorno dalla Terra Santa, si fermavano a vivere vita eremitica in questa zona, molto adatta alla vita solitaria e contemplativa, perché occupata, allora, in gran parte, da una fitta e selvaggia foresta o in zone impervie. Quindi non stupisce se agli inizi del ‘300 due pellegrini francesi si erano fermati per vivere da eremiti nelle grotte e nelle celle vicino la cappella di Santa Maria nel territorio di Castelpagano. Data la stima grande che le popolazioni avevano, in quei tempi, per tutti quelli che vivevano nella solitudine e nella penitenza, si dovette pensare che fosse cosa buona affidare a questi due eremiti la statua della Madonna che era a Sant’Eleuterio, per non farla cadere in mano di eretici o subire atti sacrileghi dalle scorribande di briganti e saraceni. Dal momento in cui l’immagine fu trasferita presso questi due eremiti francesi che stavano nell’eremo di Santa Maria l’immagine sacra, già da tutti venerata con devozione, venne chiamata di Stignano.[4]

Ma chi furono i primi eremiti che hanno abitato questa zona del Gargano?

Anche se si sono fatti molti studi la loro origine è avvolta in un gran mistero.

Erano di origine greca? Erano basiliani o simili? Erano eremiti “sciolti”? Erano del gruppo dei fraticelli francescani? Erano vicini alla riforma dei francescani legati a Clareno e a tutto il gruppo dei frati francescani celestini…? Sono loro che hanno ospitato san Pietro Celestino V nella sua tentata fuga nella quaresima del 1295 nella selva della Puglia?

E’ difficile stabilirlo, c’è bisogno di ulteriore studio e approfondimento.

Purtroppo dei primi eremiti non sappiamo a quale particolare ceppo ecclesiastico o carisma facessero parte (basiliano, greco, benedettino, francescano, agostiniano, ecc.). Forse potevano essere dei semplici cristiani impegnati a condurre un’esistenza di ascesi spirituale, perseguendo la loro vocazione e vivendo in piccole comunità o da soli e proponendosi come un importante punto di riferimento per le popolazioni locali e per gli operatori addetti alla transumanza.

Dalla valutazione delle varie ipotesi possibili può sembrare attendibile la probabilità che gli eremiti dal XIV sec, fossero legati alla spiritualità francescana. Durante i secoli molti eremiti terziari francescani, sia secolari che regolari, si sono distinti per santità in tutta Italia.[5]

P. Serafino Montorio nello Zodiaco di Maria per descrivere la religiosità della valle di Stignano dice: “… nella quale fra molte altre chiesette abitate da esemplari romiti, vedesi innalzato un vago e magnifico tempio…”. Il Fraccacreta agli inizi del XIX sec. scrive “Fra que’ boschi con Cappelle, quadri, orti, cisternole furono i Romitaggi diruti della Trinità, di S. Onofrio, S. Agostino, S. Giovanni, della Maddalena, Nunziata, S. Giuseppe, S. Stefano, della Pietà con due Romiti in tempo dele detto apprezzo, e del Salvatore.” Altri aggiungono: Fra quei boschi vi erano pure vari romitaggi detti della Trinità, di S. Onofrio, di S. Agostino, di S. Giovanni, della Maddalena, di S. Giuseppe, della Pietà, del Salvatore, dell’Annunziata e di S. Stefano, con oratori e piccole case di abitazione ma oggi non ne sono superstiti che le ruine.[6]

La presenza di eremi e degli eremiti nel Gargano occidentale è documentata da molti documenti archivistici, da leggende popolari e dalla presenza di circa quaranta ruderi di eremi o di grotte eremitiche.

Secondo alcuni autori nel 1562, mentre era ancora in corso il concilio di Trento, un decreto del papa Pio IV, perseguendo il programma di riformare tutta la vita della Chiesa, obbligò gli eremiti di ispirazione francescana ad aderire ad una delle famiglie religiose del Primo Ordine di san Francesco. I seguaci di fra Girolamo Lanza in Sicilia furono tra questi.

E’ documentata l’assistenza spirituale e giuridica che su questi eremiti veniva esercitata dai frati minori sia del convento di Santa Maria di Stignano che di San Matteo.[7]

Nel 1707 in una adunanza dei romiti con la patente dei penitenti di San Francesco dinanzi al vicario di p. Accursio furono presenti gli eremiti Allordine del rev. p. Guardiano di San Matteo: Fr. Donato Romano, ritiro di S Nicola; Fr. Rinaldo Aversano, romito di S Vito; Fr. Alfredo Napoletano, romito di S Vardino; Fr. Antonio Canosino, romito di S. De Gitria a Pescorosso; Fr. Nicola Pisano, romito di Materdomini; Fr. Luciano Siracusa, romito di S Vastiano; Fr. Matteo Camerino, romito di Ianni Pròdromo al Calvaruso; Fr. Michele Guglielmo, eremo di S Iorio schìto; Fr. Giuseppe Gargano, ermo di S Petriccolo; Fr. Gaetano Bolognese, eremo di Maria sfagmèni al cardinale; Fr. Alberto Gargano, eremo di S Maria Stignano; Fr. Antonio Guardaregia, eremo di S. Antonio a Stignano; novizio fr. Alessandro Gravina, eremo di S Iorio; novizio, Nicola Calvitto, eremo S Vastiano; vacanti eremo S. Isidoro a Serrato, eremo S. Giuseppe al Calvaruso, eremo San Cristoforo, eremi di San Michele e sant’Onofrio a Lama Vituro, eremi di Sant’Ividori a lama Vulture, eremo Sant’Angelo a Lama puzza, eremo di san Nicola in Rignano, ritiro sant’Elisabetta; allordine del rev. p. Guardiano di Stignano: Fr. Alessandro, eremo di S Agostino grande; Fr. Nicola, eremo di S Agostino grande, fr. Matteo, eremo di SS. Trinità, fr. Giovanni, eremo della Nunziatella, fr. Simone, eremo della Maddalena, fr. Libero, eremo di S Girolamo, fr. Matteo, eremo di S Stefano, fr. Felice, eremo della Pietà, fr. Angelo, eremo di S. Giuseppe, fr. Francesco, eremo di S Basilio, fr. Fedele, eremo di S Nicola, fr. Antonio, eremo di S. Onofrio, fr. Giuseppe, eremo di S Feliciano, contumace, fr. Giovanni Battista, eremo di Trinità, contumace, eremo di S. Giovanni, vacante, eremo di S Antonio, vacante, eremo del S. Bartolomeo e SS. Salvatore, vacante, eremo di S. Maria, vacante, eremo sant’Andrea, vacante.

Quindi si nota una discreta presenza di eremiti francescani in questi eremi, anche se alcuni risultano vacanti.

Agli inizi del XVIII sec. mons. Caravita, vescovo di Vieste, volle incontrare i santi eremiti che sogliono vivere tra quelle balze per rinsaldarli nella fede e nella vita di penitenza.[8]

Gli eremiti erano personaggi ben noti ai contadini del luogo, che spesso li cibavano e andavano da loro a chiedere consiglio, benedizione, interventi miracolosi. Dal canto loro, gli eremiti accoglievano viandanti smarriti e pellegrini che transitavano nelle vicinanze del romitorio, indicando loro la giusta strada. Secondo alcuni studiosi proprio vicino ad alcuni di questi eremitaggi passava la strada Francesca o strada sacra dei pellegrini diretti a Monte Sant’Angelo.

Gli eremiti dovevano essere molto legati ai francescani, e aiutavano chi si rivolgeva da loro per consigli a farli vestire l’abito della penitenza di san Francesco come nel caso di un giovane di San Severo che fra Lucchichino nella seconda metà del XV sec. dopo averlo ammonito lo aiutò a convertirsi e vestire l’abito della penitenza.[9]

Presso gli eremiti si fermavano diversi laici secolari e chierici per periodi più o meno lunghi di penitenza e preghiera. “Un tale che da Sansalvo degli Abruzzi si moveva con la compagnia della sua terra per andare alla grotta dell’Angelo Michele aveva in cuore di sedurre una giovinetta che non ricambiava il suo ardore. Andava colla compagnia ma non faceva niuna devozione perché cercava il modo di unirsi carnalmente con la giovinetta. Arrivato alla porta della chiesa tutti in ginocchio dovevano entrare per onorare la gran Madre di Dio. Lui come arriva davanti la porta si ferma e non poteva muoversi. Anco li conterranei non riuscivano a prenderlo tanto era assai il peso. Chiamato il guardiano con la benedizione si diminuì il peso e si potè portare davanti la Madonna. Il guardiano con la stola li impose di uscire da lui e dopo un forte grido uscì tanta sbava da empire cinque catini. A quella vista tutti furono stupiti. Il guardiano impose che per penitenza dovesse stare due mesi nei pressi dei monaci eremiti. Lui vi rimase fino alla fine dei suoi giorni per penitenza e per colmare lo sdegno della Madonna.”

La documentazione sostiene che furono i frati minori ad accogliere questi eremiti tra i terziari francescani. I frati minori osservanti per non favorire il diffondersi di pratiche strane assoggettarono tutti gli eremiti al Terz’ordine francescano sotto l’obbedienza del padre Guardiano con delle disposizioni precise da osservare e da rispettare, rilasciando la patente e immettendoli nell’immunità ecclesiastica.

Alcuni ipotizzano che il papa Celestino V nella sua fuga durante la quaresima, prima del suo arresto a Vieste, si sia fermato presso due eremiti nella selva o foresta delle Puglie nella valle di Stignano. Se questi due eremiti erano fraticelli francescani o eremiti poveri di Celestino legati al Clareno, non lo sappiamo.

Sappiamo che già dal XIII sec. c’erano eremiti nella valle di Stignano e che la presenza è stata costante fino alla fine del XVIII sec.

Solo di alcuni eremiti conosciamo la loro santa vita,[10] bisogna solamente puntualizzare che i frati minori osservanti portarono ordine e santità tra questi eremiti anche aiutando alcuni che per vicende strane erano incorsi in “strani atteggiamenti” con difficili rapporti con la gerarchia ecclesiastica e in alcuni casi anche di difficile rapporto con le autorità civili.[11]

Molti vissero santamente e si ricordano le loro vite di penitenza con il cingolo e l’abito da terziario francescano e i padri guardiani dei Conventi di Santa Maria di Stignano e di San Matteo sorvegliavano e soprintendevano sugli eremiti che vestivano l’abito francescano, affinché rispettassero la regola che il Serafico padre diede ai laici per seguirlo e che avessero la patente per essere eremiti.[12]

A questo punto della ricerca voglio solo ricordare due donne eremite che vissero nella solitudine: donna Geronima de Spinoza e la romita Alberto.

Donna Geronima de Spinoza è vissuta un certo periodo presso il ritiro sant’Elisabetta vicino il convento di San Matteo, morta il 28 gennaio 1665 è stata sepolta presso il Convento di San Matteo. Di questa donna non sappiamo se viveva con altre donne oppure era solitaria.

La romita Alberto visse quarant’anni presso il romitoricchio dell’Annunziata tra Castelpagano e il convento di Stignano.[13] Dopo la festa del 15 agosto 1676 gli altri eremiti non vedendo fra Alberto andare alla consueta Messa, andarono alle “sue grotte” e lo trovarono morto con la croce fra le braccia ed il libro delle orazioni aperto sulle mani. Nel portarlo all’eremo di Sant’Agostino per la sepoltura si accorsero che quel romito che chiamavano fra Alberto non era un maschio ma una femmina e che aveva celato le sue vere sembianze per poter vivere senza differenza tra maschio e femmina solo al cospetto di Dio. Per 40 anni visse in eremo senza rivelare la sua vera identità. [14]

La letteratura e l’agiografia è ricca di donne che nell’antichità, pur di vivere da eremite o in monasteri o cenobi, si travestivano da maschi.

La presenza di donne eremite è attestata nella metà del XV sec. presso l’eremo di Sant’Agostino sulle falde del monte Castello vicino Stignano. Sappiamo che c’erano delle recluse ma non abbiamo altre notizie, questo si sa solo perché un eremita (fra Luca cognominato fra Lucchichino)[15] che viveva nell’eremo di sant’Onofrio per scappare dal diavolo nelle sembianze di una terribile bestia si era andato a rifugiare in quest’eremo abitato da Verginelle a Dio consacrate.[16]

Anche agli inizi del XVI sec. si hanno notizie di donne consacrate di vita comunitaria nelle vicinanze del convento di Stignano. Fra Salvatore discalciato,[17] che ha ampliato agli inizi sel XVI sec. le precedenti celle eremitiche che stavano vicino la chiesetta di Stignano per farne un convento per i suoi frati, nello stile della sua riforma francescana iniziata ha accolto anche alcune dame che erano sempre chiuse e nella povertà pregavano e lavoravano con aspre penitenze. Fra Salvatore oltre a realizzare alcuni loci per i suoi frati costruì (nel senso che organizzò) anche alcune umili dimore per “alcune vergini dame” che volevano vivere la “letizia clariana” vicino i conventi di Stignano, Celenza e Forlì del Sannio. Fra Salvatore faceva assistenza spirituale “alle vergini rinchiuse nelli pressi dei suoi conventi” ma pur facendo quest’ufficio essendo castissimo di corpo, e di mente… stette quattro lustri che mai vidde faccia di donna, Il che fù di gran maraviglia, e massime nella persona sua, ch’hebbe l’offitio per tre lustri d’andar in Italia a predicare e assister le vergini rinchiuse nelli pressi dei suoi conventi. Quale fosse la vita di queste dame non sappiamo ma sicuramente erano eremite recluse che non avevano nessuna regola di riferimento e forse professavano la regole del terz’ordine francescano per stare sotto la giurisdizione dei frati minori. Bisogna precisare che di queste donne non abbiamo altre testimonianze successive. Le donne rinchiuse nel medioevo erano presenti in molte località europee.[18]

Di seguito sono riportate le note:

[1] La copia del testamento è conservata presso l’Archivio Stato Foggia (Opere pie, I, f. 1435) tra le carte della cappella di Sant’Antonio abate in San Marco in Lamis che era in parte in patronato dell’ordine cavalleresco costantiniano precedentemente antoniano, sicuramente questo documento, come altri conservato nello stesso fascio, deriva da un sequestro fatto nella prima metà dell’800 per una verifica contabile dell’amministrazione dei beni, dobbiamo ringraziare questo sequestro se possiamo leggere molto parzialmente diversi documenti antichi. Tra l’altro c’è anche la descrizione della chiesa di Sant’Antonio abate, dell’ospedale presente e di altre notizie. G. Tardio Motolese, Gli Statuti medioevali dell’Universitas di San Marco in Lamis, San Marco in Lamis, 2005; G. Tardio, La chiesa con il titolo di sant’Antonio Abate già di san Marco, 2007. G. Tardio Motolese, Gli Statuti medioevali dell’Universitas di San Marco in Lamis, San Marco in Lamis, 2005.

[2] G. Tardio, Eremiti ed eremi nel tenimento dell’abazia di San Giovanni in Lamis, San Marco in Lamis, 2007; G. Tardio, Insediamenti umani delle vicinanze di San Marco in Lamis, San Marco in Lamis, 2007; G. Tardio, Eremiti nel Gargano occidentale, 2008; G. Tardio, Gli eremi della Via Francigena nel Gargano occidentale, 2009.

[3] G. Tardio, Gli eremi nel tenimento di Castelpagano sul Gargano, 2006; G. Tardio, L’eremo di Trinità nel Gargano occidentale, 2007; G. Tardio, L’eremo di Sant’Agostino nel Gargano occidentale, 2007; G. Tardio, Vite di eremiti solitari nel Gargano occidentale, 2007; G. Tardio, Donne eremite, bizzoche e monache di casa nel Gargano occidentale, 2007; G. Tardio, Eremiti ed eremi nel tenimento dell’abazia di San Giovanni in Lamis, 2007; G. Tardio, La “vallis heremitarum” a Stignano nel Gargano occidentale, 2007; G. Tardio, Eremiti nel Gargano occidentale, 2008.

[4] Anonimo, La cinosura del Gargano, Maria SS di Stignano, in Archivio della Curia dei Frati Minori di Foggia; G. Tardio, Il santuario della Madonna di Stignano sul Gargano tra storia, fede e devozione, 2008.

[5] Solo per citarne due tra i tanti. San Miro (Canzo 1306 o 1336- Sorico 1381) fu un eremita e pellegrino, appartenente al terz’ordine francescano, venerato come beato, ma chiamato santo nella regione lariana, in particolare a Canzo e Sorico. Sulla sua vita non vi sono testimonianze dirette scritte, a lui contemporanee, la sua prima Vita italiana potrebbe derivare da un anteriore testo scritto in latino andato perso; la storia della sua vita, così come ci è pervenuta, è ammantata da numerosi elementi leggendari e miracolistici che potrebbero anche attribuirsi ad una sua edulcorazione durante lo svolgersi della tradizione orale che precedette la stesura del primo testo scritto. Le sue rappresentazioni iconografiche più antiche lo rappresentano vestito con una tunica grigia da eremita o da pellegrino. Ricostruzione biografica dalle leggende. Nato a Canzo 1306 o 1336, a sette anni, il padre lo affidò ad un eremita. Il padre, alla sua morte, lasciò all’educatore del figlio i suoi averi col compito di conservarli in parte per la maggiore età del figlio e in parte per i poveri. Morto il padre, Miro si ritirò in eremitaggio una grotta. Gli anni passarono nella solitudine e nella meditazione. A trentadue anni vide morire il maestro e, sepolto, donò ai poveri tutti gli averi, lasciatigli dal padre, e la casa paterna. Continuò nel frattempo il suo eremitaggio, durante il quale veniva visitato dai concittadini, ai quali dava conforto e per i quali dedicava a Dio la sua vita spirituale. Secondo una certa tradizione abbracciava intanto il Terz’ordine francescano, vestendo l’abito e la corda, vivendo in dipendenza dell’autorità ecclesiastica, come tanti eremiti francescani che allora popolavano l’Italia. Una volta partì col bordone da pellegrino. Lungo il tragitto verso Roma si fermò a visitare i santuari più celebri, vivendo di elemosina, accompagnato da tre giovani, probabilmente orfani. Il viaggio durò un anno. Ritornò ignoto e visse tale. Si tenne occulto, vivendo prima nella casa del curato e poi in una grotta di un monte vicino. Pur vivendo in solitudine di tanto in tanto si recava in paese a compiere opere di bontà. Poi decise un’altra partenza e raggiunse Sorico dove fu preso da strazianti dolori. Ricordò la rivelazione di Maria e capì che quello era il posto dove sarebbe morto. Stabilì la sua dimora in un antro, detto poi Grotta di san Miro (qui sorge oggi la chiesa di San Michele arcangelo). I dolori, sempre più forti, lo portarono alla morte nel 1381. P. M. Sevesi, S. Miro Paredi da Canzo Eremita del Terz’ordine serafico, Milano, 1933. San Corrado Confalonieri è nato nel 1290 a Piacenza all’età di venticinque anni, mentre era a caccia fece appiccare un fuoco che recò danni alle coltivazioni e distrusse tutto. Accusato un altro ingiustamente lui lo scagiona e paga tutti i danni arrecati. Fatto un pellegrinaggio a Roma poi si reca in Sicilia, a Noto. In un primo momento era vissuto alle Celle, presso Noto, con il beato Guglielmo Buccheri. Per accostarsi ai sacramenti della confessione e della comunione andava a Noto, dove c’era un prete suo devoto. Beatificato da Leone X nel 1515, Urbano VIII, nel 1625, concesse ai francescani di celebrarne la festa con Messa e Ufficio propri. Alcune notizie della sua vita, trasformate dalla leggenda, si sono imposte anche nell’iconografia, come il suo separarsi dalla sposa, che si fa monaca; nelle fonti però non c’è accenno a questo matrimonio. Generalmente il santo è rappresentato come un vecchio, che dimostra molto più dei suoi anni, con la barba fluente, vestito da francescano, davanti ad un crocifisso e con il bastone a tau. F. Rotolo, Vita Beati Corradi. Testo siciliano del XIV-XV sec., Noto-Palermo, 1995.

[6] L. Cardillo, Dizionario corografico-storico-statistico della Capitanata e de luoghi più notevoli dell’antica daunia, Altamura, 1885, p. 134.

[7] L’ammissione di un candidato alla vita eremitica anche se ottimo presentava sempre delle incognite, perché anche eremiti promettenti, dopo qualche tempo di vita esemplare, si stancavano cadendo nella mediocrità o nel vizio, o per eccentricità di carattere si rendevano odiosi ai vicini, alla cui comunità apparteneva l’eremo stesso. Così si spiega come nella primavera del 1680 l’eremita Simone, dopo essersi accordato con fra Alessandro per servire alla Maddalena, è presentato come quieto e timorato di Dio così da ottenere la necessaria patente dal padre guardiano del Convento di Santa Maria di Stignano. Dopo un periodo di prova e prima di consegnargli le chiavi e di affidargli l’inventario delle poche masserizie gli lessero i nove capitoli o condizioni che egli avrebbe dovuto osservare. Queste poche norme semplici ed elementari rispecchiano la preoccupazione che il custode dell’eremo sia un uomo di pietà e di buon esempio. Non sono così minuziose e severe ma regolano bene la giornata dell’eremita e ne fissano i compiti principali. -1 Che debba osservare esatamente la regula perscrittagli dal Rev.do Padre Guardiano osservante di Stignano; -2 Che deva accettare l’inventario delle robbe dell’eremo, e mantenerle nette e ben regolate, e deva di quelle averne cura con invigilar per il suo possibile all’utile e onore della Sacrat.ma Chiesa. -3 Che debba la medesima Chiesa spazzare et procurare come sopra. -4 Che la mattina et sera di ciaschedun giorno et anco il mezzogiorno suonar l’Ave Maria e con ogni dilligenza sonnar anco per li cattivi tempi giorno e notte. -5 Che mai si possa partire dalla Cella avanti mezzogiorno se non per venir alle messe et sodisfare al Precetto. -6 Che debba servir alle messe li sacerdotti che andarano a celebrar alla Chiesa della Madallena. -7 Che mai possa andar alla cercha per il suo viver necessario, se prima non vienne a riceverne la licenza dal Rev.do p. Guardiano di Stignano. -8 Che non deva andar nelle case, ma aspettar alla porta la carità ecetto che nel tempo del visitar l’infermi, in qual tempo anzi procuri con ogni diligenza andar alla visita di quelli. -9 Che a nessuna donna sotto qualsisia pretesto sia permesso l’ingresso nell’eremo. -10 Che deva nel tempo che s’insegna la dottrina Christiana anadre ad insegnarla. Il nuovo eremita accettò di buon grado le disposizioni descritte ed è da credere che le abbia osservate e si sia affezionato al suo eremo ed alla sua chiesetta. G. Tardio, Gli eremi nel tenimento di Castelpagano sul Gargano, San Marco in Lamis, 2006.

[8] G. Tardio, Mons. Camillo Caravita nella sua permanenza a San Marco in Lamis nel 1713, San Marco in Lamis, 2005.

[9] Detteli Iddio spirito di profezia. Conobbe in lui spirito di profezia in scoprire ad un giovane di San Severo un peccato occulto, il quale in continuo peccato dormiva con la propria madre. Onde tant’enorme peccato, e abominevole dal Signore essendoli divinamente manifestato, occultamente ammonì il giovane, che dovesse da così nefanda scellerataggine levarsi volendo con tal correzione satisfare all’evangelo. Stupitosi il peccante, che ad un uomo rinchiuso; fosse manifesto quello che credeva non lo sapesse persona nata, fece profitto la reprensione per qualche tempo, ma di nuovo per suggestione diabolica tornò a perseverare nel peccato, il che sapendo per divina rivelazione il Lucchichino fece predica con l’arciprete di tal pèccato, acciocché sapesse tanto peccato essere stato commesso, che Dio non permetteva sceleraggine in lungo tempo occulti: si emendarono ambedue e fecer penitenza del lor peccato. Questo fa gran parte causa, che il giovane prese l’abito del gran Padre Serafico Francesco.  G. Tardi, Vite di eremiti solitari nel Gargano occidentale, 2007.

[10] G. Tardio, Vite di eremiti solitari nel Gargano occidentale, 2007.

[11] G. Tardio, Strani riti magici e salomonici nella Valle di Stignano, San Marco in Lamis, 2007; G. Tardio, Donne eremite, bizzoche e monache di casa nel Gargano occidentale, San Marco in Lamis, 2007; G. Tardio, Streghe, Lamie e Jannare sul Gargano, presenza, processi, leggende, San Marco in Lamis, 2007.

[12] Dalla vita dell’eremita Fra Padro Schiavonus sappiamo che il delegato del Vescovo di Lucera in una visita alle contrade di Castel Pagano ha trovato Padro Schiavonus in abito di eremita nei pressi la chiesa di Sant’Agostino senza patente e venne ammonito a richiederla in iscritto. L’eremita non rispose e solo dopo andò a Lucera. Dinanzi al Vescovo fra Padro Schiavonus dichiara di avere 33 anni, di essere di Canosa, e diventato eremita dopo essere scappato dalla schiavitù dei corsari turchi. S’era fatto pellegrino dirigendosi verso Roma e alla Montagna dell’Angelo dove aveva incontrato un eremita di Stignano. Così dietro suo consiglio aveva scelto quel luogo nel quale allora si trovava. La licenza di eremita l’aveva ottenuta dal padre guardiano degli zoccolanti di Stignano, che gli aveva imposto il cordiglio e che stava sotto la sua obbedienza. Saputo queste cose il Vescovo impose al padre guardiano del Convento di Santa Maria di Stignano di sorvegliare e soprintendere sugli eremiti che vestivano l’abito francescano, che rispettassero la regola che il Serafico padre diede ai laici per seguirlo e che avessero la patente per essere eremiti. “Il fra Padro dice che milita e abita sotto il Santo Francesco e che aveva ricevuto quell’abito dal padre guardiano del Convento degli zoccolanti di Santa Maria di Stignano e che stava sotto la di lui obbedienza. Presentatosi in quelle contrade vestito alla corta per chieder la carità, s’era sentito rispondere che l’elemosina l’avrebbe avuta se prima si fosse messo un abito di eremita. Dopo messo l’abito lungo con la corda aveva avuto un poco di carità. In quell’oratorio fra Padro faceva le sue orazioni con Pater noster, Ave Maria, e Credo. Non sapeva né leggere, né scrivere e perciò gli erano inutili i libri che aveva nel suo eremo, si accostava ai Sacramenti ma fra Padro si era confessato e comunicato solo a metà Quaresima dell’anno alla Chiesa delli frati di Stignano ed era solito confessarsi appena una volta all’anno. Si impose al rev padre guardiano del Convento di Santa Maria di Stignano di sorvegliare e soprintendere sugli eremiti che vestivano l’abito francescano, che rispettassero la regola che il Serafico padre diede ai laici per seguirlo e che avessero la patente per essere eremiti. Dopo l’audizione fra Padro viene assolto e gli venne dato il foglio da leggersi: “fra Padro Schiavone asserto heremita, che già era stato scomunicato, attenta l’obligazione fatta nel officio, la patente rilasciata giustamente dal rev. padre guardiano degli osservanti di San Francesco del Convento di Santa Maria di Stignano e per gratia di Dio nella ubbidienza della S. Chiesa, è stato assolto, e nissuno deve schivarlo, ne averlo in mala opinione, ma in logo di fedel Cristiano”. G. Tardio, Vite di eremiti solitari nel Gargano occidentale, San Marco in Lamis, 2007.

[13] Forse presso questo eremo è ambientata la novella “Fortezza” di Edmondo De Amicis. G. Tardio, I luoghi e la virtù della fortezza nel carabiniere della novella deamicisiana, San Marco in Lamis, 2007.

[14] Al reverendo padre e signore in Cristo, Salvatore rev.do guardiano del Convento di Santa Maria di Stignano dell’Ordine di san Francesco dell’osservanza. La paternità vostra non ignora affatto come coloro che uscivano dall’Egitto e si incamminavano verso la terra promessa dovessero percorrere la via regia senza deviare né a destra né a mancina. E stettero nel deserto quarant’anni per purificarsi e considerare la stoltezza e follia delle cose mondane. Così santi padri eremiti si rifugiarono nel deserto per meditare e per catarsi al grande giorno. Così fece la umile eremita che noi appellavamo fra Alberto. La serva di Dio non sappiamo con esattezza di donde fosse originaria. Nell’accoglienza della prova narrò che in un tempo di sua vita morì una nobildonna e fu portata alla chiesa per la sepoltura i canonici aprendo un sepolcro di chiesa, vi si scorse il cadavere di una sepolta, non ancora ridotta in polvere e orribile a vedersi. La serva di Dio a tale vista senti un fremito per le ossa e così prese a ragionare «Quella che lei era, io lo sono; quella che lei è io lo sarò». Quella nobildonna era stata in vita assai avvenente. Osservando come la bellezza e l’avvenenza di lei si erano cangiate in fetore insopportabile e in putredine secondo le esigenze dell’umana condizione, la serva di Dio quasi accogliendo un avvertimento dal cielo, decise di mutare in meglio la propria vita. In seguito ebbe a narrare che in sogno veniva condotta a luoghi solitari e deserti che poi di persona, nella realtà trovò tali e quali gli erano stati mostrati. La serva di Dio decise dunque di ritirarsi nella solitudine, abbandonando del tutto la vanità del mondo. Uscita dalla città nel silenzio della notte, giunse sulla via dove non aveva a temere di essere ritrovata da parenti, con un cavallo guadagnò strada e arrivò a Roma dove visitò le grandi basiliche cristiane. E si ritirò nelle cime degli Abruzzi e tutta sola con straordinario fervore si mise a cercare i recessi più nascosti di quel luogo deserto. Il primo eremo dove prese dimora si trovava presso la plaia del castello di Pacentro e distava poche miglia da Sulmona. La famiglia non si diede pace e la cercò a lungo, tanto che un giorno dopo tre anni dalla sua fuga, furono prossimi alla grotta dove dimorava. In tale circostanza un Angelo santo la avvisò consigliandola di recarsi presso il monte Gargano per perfezionare la vocazione, promettendogli inoltre che quel luogo sarebbe stata la sua finale dimora. Giunta al Monte Gargano sotto mentite spoglie chiese al padre guardiano di dimorare in un eremo là disseminato. Non si presentò come femmina ma come maschio che voleva menare vita eremitica. Là dunque attendeva al digiuno e all’orazione con assiduità, avanzando ogni giorno di virtù in virtù. In quel tempo due religiosi romiti prudenti e saggi esaminarono la sua dottrina, ammirando non poco il suo tenore di vita così edificante e testimoniarono di aver trovato in lui molto più di quanto era stato loro detto. Per sette volte al giorno meditava la passione di Gesù e versava non poche lacrime al pensiero delle piaghe del Signore. Recitava i Salmi e pregava con infinito amore la Madonna. Sedava i desideri del cuore e del corpo con la penitenza e con i cilizi, flagellando il suo corpo. Dopo la prova gli fu imposto il cingolo e la pazienza del francescano. Fece voto di perpetuo silenzio e solo nella confessione osava parlare. Visse quarant’anni presso il romitoricchio dell’Annunziata. Fra Guglielmo prefetto degli eremiti, venne a fargli visita e rabbrividì vedendo l’orribile condizione in cui fra Alberto aveva vissuto tutti quegli anni in quelle grotte e si stupì di come avesse fatto a sopravvivere così a lungo in quelle condizioni. fra Alberto il 15 agosto 1676 si recò a Stignano per l’ultima confessione e ricevere per l’ultima volta l’Ostia santa, si congedò da tutti i monaci raccomandandosi alle loro preghiere Per 40 anni fu come fiaccola ardente assidua nella preghiera costante e nella penitenza, mantenendosi candido come un giglio e puro come acqua cristallina, nascosta al mondo come un tesoro preziosissimo e di inestimabile valore. Gli altri eremiti non vedendo fra Alberto andare alla consueta Messa della domenica andarono al romitoricchio dell’Annunziata e trovarono fra Alberto con la croce fra le braccia ed il libro delle orazioni aperto sulle mani, lo sguardo levato al cielo come in estasi in tale atteggiamento un coro d’Angeli suonava e si rese palese il sereno transito dell’anima dolcissima di fra Alberto che dal gracile corpo volò tra le braccia di Dio. Nel portarlo a Sant’Agostino si accorsero che quel romito che chiamavano fra Alberto e che per quarant’anni aveva vissuto solitario all’Annunziata non era un maschio ma una femmina e che aveva celato le sue vere sembianze per poter vivere senza differenza tra maschio e femmina solo al cospetto di Dio. G. Tardio, Donne eremite, bizzoche e monache di casa nel Gargano occidentale, San Marco in Lamis, 2007.

[15] Il 1454 alcuni giovani, istigati dal diavolo, andarono di notte tempo furando i tesori. Fu arrestato uno di nome Luca cognominato Lucchichino uomo di 30 anni, al quale pochi giorni dopo fu tagliato la mano destra. Dopo tanto traviamento avvenne la conversione e si ritirò a Sant’Onofrio e fatta l’entrata d’ordine nelle mani dell’arciprete giurò voto di continenza, di clausura e di digiuno fino alla morte; fu vestito dal detto arciprete sopra la nuda carne da una rozza tela che mai mutasse. Visse in quella cella 25 anni in continua penitenza asprissima. Fu serrata la porta dell’eremo dall’arciprete e entrava da lui solo la gente religiosa e chi si prendeva cura di governarlo. Subì molti attacchi del demonio ma fu sempre trionfante avendo lasciato tutto ha trovato il vero tesoro che nessuno può cavare e rubare. Visse venticinque anni in un volontario carcere, laudando sempre e benedicendo Iddio. G. Tardio, Vite di eremiti solitari nel Gargano occidentale, San Marco in Lamis, 2007.

[16] Dopo esser stato sedotto per cavar tesori fu fra Lucchichino trionfatore più volte del demonio, una volta quando lo cavò pensando al fargli rompere il voto della clausura e di continenza, il che non gli fu attribuito a peccato; perché non fu volontario; un animale vigoroso ruppe le sbarre e lo maschetto e lo costrinse a rifugiarsi a Sant’Agostino dove stavano le Verginelle a Dio consacrate all’ora, che era in età di 40 anni, pensò di fare dell’uno e dell’altre acquisto, sapendo come per il passato era stato inebriato. G. Tardio, Vite di eremiti solitari nel Gargano occidentale, San Marco in Lamis, 2007.

[17] G. Tardio, Fra Salvatore Discalciato e i conventi mariani della riforma francescana spagnola nell’inizio del XVI sec. di Stignano di Lucera, Celenza Valfortore, Forlì del Sannio, San Salvo, Vitulano e Lacedonia, 2008.

[18] “Tutti gli studi sulla tradizione eremitica medievale nell’Europa occidentale, virtualmente riportano solo dei sommari riferimenti al grande numero di donne recluse. Per esempio, Vandenbrouck annota che nel 1320, soltanto a Roma, vi fossero 260 recluse, mentre Sainsaulieu riporta di avere trovato 455 reclusi in Francia, di entrambi i sessi, prima del decimo secolo e 3000 nei secoli successivi. Ancora più sorprendente è l’informazione che ci dà Fr. Delehaye, appena nel 1908, su un monastero siriaco che nel nono secolo ospitava circa un centinaio di donne che vivevano come stilite. Uno studio della tradizione dell’anacoresi femminile è perciò un progetto di immense proporzioni.” (M. H. King, Le Madri del Deserto: una ricerca sulla tradizione eremitica femminile nell’Europa occidentale ttp://www.peregrina.com/matrologia /desertmothers1.html.) Le donne eremite o comunque che vivevano una dimensione di vita di preghiera e di contemplazione non soggette direttamente “all’autorità maschile”, esercitarono una profonda influenza sulla società, sia a livello politico che spirituale. Gli eremiti Paolo, Antonio, Ciro, Onofrio e i loro imitatori egiziani vengono chiamati abba [padre], Sara era chiamata amma [madre]. Sara, insieme a Syncletica, è una delle poche donne le cui parole sono incluse nei ‘Detti dei Padri’. Nel deserto egiziano oltre agli eremiti c’erano molte donne. Palladius menziona 2975 donne nell’Historica lausiana. Antonio abate quando andò nel “deserto” introdusse sua sorella presso una comunità di ‘vergini rispettate e fidate’. Nel primo libro del Paradiso Siriaco ‘delle sessantotto storie narrate, diciannove sono dedicate a delle donne’ le quali erano ‘capaci di vivere quanto gli uomini la severa vita dell’eremita’. Ma questo fatto non dobbiamo considerarlo come numero percentuale, ma come attestazione delle innumerevoli altre anonime donne che vivevano nel deserto sia come cenobite che come recluse o eremite. Ma dobbiamo considerare che queste “comunità” esistevano prima che il ‘Padre del Monachesimo’ si portasse nel deserto. Si può tracciare la tradizione della vita delle donne consacrate fino ai tempi apostolici.  Nella “Menologia Greca” Zenais e Philonilla sono venerate come sorelle minori di san Paolo, la prima fu una reclusa, la seconda, ‘non meno santa’, visse nel mondo. Nel quarto secolo si ha notizia di Alessandra che si chiuse in una tomba e fu visitata da Melania l’Anziana; Maria l’Egiziana, Tharas, e le sorelle Menodora e Metrodona, recluse in un tumulo a Pythiis; Photina che si insediò sulla roccia che era stata di Martinian; Sara e Syncletica, per nominarne solo alcune. Dalla metà del quinto secolo alla metà del sesto, troviamo, tra le altre, Anastasia, Apollonaria, Athanasia, Euphrosyne, Hilaria, Theodora, Matrona, Eugenia, Marina Eusebia Hospitia, Pelagia, fino a Marana e Cyra che vissero in catene in una piccola cella semi-coperta per quarantadue anni e che furono visitate da Theodoreto, Vescovo di Cipro. Le donne che si rifuggivano in vita solitaria o cenobitica attuavano la “fuga dal mondo”, talvolta per evitare un matrimonio, per sfuggire ai maltrattamenti del marito o alle attenzioni di un pretendente indesiderato, per non avere una vita di peccato, e spesso assumevano un aspetto mascolino indossando l’abito monastico maschile e la scoperta della loro identità femminile era solitamente postuma. Era una manovra prudente farsi passare per maschi nella vita solitaria e in luoghi lontani, dove una donna poteva facilmente essere scambiata per un demone oppure subire abusi sessuali (P. Solari, Donne sante nella chiesa orientale dei primi secoli). Nel quarto secolo molte recluse vivevano in Italia e in Francia. Le protette di san Girolamo includevano Melania la Giovane, Marcella ed Asella. Quest’ultima visse ‘in silenzio, in una stretta cella, visitando il Paradiso’ e fondò per sé stessa un eremitaggio monastico nel centro di Roma. Un’altra reclusa romana, menzionata da Palladius, fu incontrata da Serapione. In Francia, Florence, Menna, Triaise e Vitalina una solitaria di Auvergne incontrata da Martin di Tours. Successivamente le donne “recluse” o eremite aumentarono, questo fenomeno anche se poco documentato è presente in tutta Europa. Dall’undicesimo secolo, la vita eremitica si hanno notizie più abbondanti e così si pensa che assunse nuovamente l’importanza dei primi secoli. Tra l’undicesimo e il quindicesimo secolo Sainsaulieu registra 3000 nomi in Francia. Doerr elenca 433 nomi di donne recluse e di loro eremitaggi nella sola Germania meridionale e Clay riporta 750 celle eremitiche e più di 650 nomi, di cui 180 sono donne. Questo incremento del numero non si deve collegare solo a un aumento della popolazione, ma anche a un notevole incremento della religiosità laica. La regina Margherita di Scozia frequentemente si ritirava in una grotta non distante da Dunfermline per un periodo di preghiera e di meditazione; Chelidonia visse come reclusa per sessanta anni nelle montagne vicino a Subiaco; Damgerosa visse in solitudine per cinquanta anni su una collina vicino Le Mans; Christina di Markyate in Inghilterra. In Inghilterra sono state trovate due ‘Regole’ per recluse diffuse nel dodicesimo secolo, l”Aelred of Rievaulx’ (Aelred of Rievaulx: The Historical Works, redattore Marsha L. Dutton, traduttore Jane Patricia Freeland, 2006. Aelredus <santo>,  La vie de recluse; La priere pastorale/ Aelred de Rievaulx, a cura di Charles Dumont, Paris, 1961) e l’ ‘Ancrene Riwle’ (Ancrene Riwle o la regola delle romite. Il libro della vita solitaria, a cura di Pezzini D., Milano, 1997. L’Ancrene Wisse o Ancrene Riwle è una regola inglese per donne eremite, composta nel tredicesimo secolo da un Agostiniano per tre consorelle anacorete. In termini di istruzione e di didattica, l’autore dell’Ancrene Wisse raccoglie le istanze che influenzarono la regola di Aelred of Rievaulx un secolo prima: fonti bibliche (specialmente i Salmi e il Nuovo Testamento), Agostino, Gerolamo, Gregorio, Anselmo, Bernardo e la regola di san Benedetto. Il ritiro delle recluse significa nessun contatto con lo sguardo maschile. Per quanto riguarda la parola, l’anacoreta deve evitare le chiacchiere e le conversazioni, così come non deve elargire consigli o insegnare ai bambini. Se è necessario parlare, deve essere presente un testimone, che stia discretamente distante durante la confessione. Il silenzio, non solo durante i periodi prescritti, ma come espressione di un’attitudine sostanziale. La condizione delle anacorete, ma anche di isolamento fisico dalle risorse della comunità, evidenzia le difficoltà potenziali della vita eremitica femminile. http://www.hermitary.com/articles/ancrene.html.
Di molte “recluse” non sappiamo nulla della loro vita conosciamo solo alcuni loro scritti. Una di queste fu Giuliana di Norwich. L’anonimato è l’obbiettivo finale di tali sante donne. Si ritirarono dal mondo per cercare la reclusione e l’occultamento al fine di dedicarsi alla contemplazione. In Italia si conoscono molte donne che hanno vissute da eremite, recluse o bizzoche. Solo per citarne alcune santa Rosalia a Palermo, santa Ugolina a Vercelli, sante Teuteria e Tusca da Verona. Per ciò che riguarda specificatamente il monachesimo femminile, il periodo che va dal XII e XIII secolo si caratterizza come un momento di equilibrio e di espansione, in cui si assiste ad una grande fioritura anche di nuove fondazioni. Tuttavia, nonostante il potente slancio creativo di cui i nuovi Ordini monastici del XII e XIII secolo danno prova, il monachesimo femminile si trova via via ricondotto alle forme di esistenza dell’antico monachesimo tradizionale anteriore, divenuto in quel tempo più rigido, più uniforme, e che sottostava nella maggior parte dei casi al controllo nobiliare. E’ per questo che sorgono altre forme nuove di vita religiosa in alternativa alle istituzioni già esistenti e rispondenti da una parte al bisogno di solitudine, dall’altra alla vita comune, e aperta anche alle classi sociali più povere, visto che il monachesimo tradizionale restava ancora per lo più riservato in modo esclusivo alla classe nobile. Si tratta del fenomeno delle “recluse urbane”, eremite viventi nel cuore delle città o dei sobborghi, e quello del movimento delle beghine sorto spontaneamente in più regioni d’Europa, che, a seconda dei luoghi furono chiamate sorores poenitentiae, bizochae, pyzocarae, mantellatae, vestitae, ecc3. Sono queste “donne religiose” che, non potendo o non volendo entrare negli Ordini già esistenti, a partire dalla seconda metà del sec. XII si costituirono in comunità semi-religiose di carattere estremamente vario. Il termine ‘bizzoca’ aveva antiche origini e si riferiva a donne che non potendo o non volendo abbracciare la vita monastica, rimanevano nella propria casa e ambiente a vivere una particolare esperienza religiosa, a volte spontanea, a volte guidata dagli Ordini mendicanti, nei quali si inserivano come Terziarie. In particolare nelle regioni Meridionali e soprattutto nel Napoletano, vi furono figure di donne magnifiche e nel contempo silenziose e nascoste, che fino a tutto l’800, consacrarono la loro vita a Dio, rimanendo a pregare, soffrire ed operare nella loro casa, irradiando nel rione o quartiere, una spiritualità che attirava fedeli in abbondanza. Il popolo le chiamò “Monache di casa”, a questa schiera appartennero citandone qualcuna: Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe, terziaria alcantarina, la ‘santa dei Quartieri Spagnoli’; la serva di Dio Anastasia Ilario, terziaria domenicana “la santarella di Posillipo”; la serva di Dio Maria di Gesù Landi, terziaria francescana, fondatrice del Tempio e Opere dell’Incoronata a Capodimonte; la venerabile Genoveffa De Troia, terziaria francescana a Foggia; la serva di Dio Maria Angela Crocifissa (Maria Giuda) del quartiere Mercato a Napoli, ecc. G. Tardio, Eremiti nel Gargano occidentale, 2008

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