Castelpagano, 2012 - foto Ludovico Centola

Castelpagano, 2012 – foto Ludovico Centola

Ubicato su di uno sperone del Gargano a 545 metri di altitudine, a Sud-Ovest del promontorio del Gargano nel comune di Apricena, il castello, di cui rimangono poche rovine, faceva parte di un borgo la cui origine è incerta. La posizione elevata, ottima all’epoca per controllare il territorio sottostante, gli permette una vista stupenda verso il Gargano ed i monti del Molise da una parte e su tutto il Tavoliere dall’altra.

L’epoca della fondazione di questa rocca è incerta, si pensa possa essere antecedente persino alla costruzione di Apricena, quindi la seconda metà del IX secolo . Già fiorente nel XI secolo sotto la signoria del normanno conte Enrico , passò poi da Rainulfo , duca di Aversa, a Ruggero , signore di Rignano, in seguito ad una lunga ed aspra guerra. Sebbene inespugnabile per la natura del luogo, nel 1137 il castello cadde nelle mani di Lotario III , sceso in Italia istigato da Papa Innocenzo II e dai principi spodestati da Ruggero, con centinaia di vittime durante la battaglia per occupare Rignano ed il feudo di Castelpagano.
Nel 1177 il monastero di San Giovanni in Lama, attuale convento di San Matteo, insieme a quello di Santa Maria di Pulsano e ad altre terre fu dato da Guglielmo II, come appannaggio alla moglie Regina Giovanna , figlia di Arrigo II, re d’Inghilterra. Il suo nome è presente anche su di un antico documento del 21 Settembre 1231 narrante la storia di un certo Leonardo di Falco, mendicante cieco della zona, che fu sorpreso nel sonno dalla Vergine Maria che gli donò la vista e gli indicò un simulacro su di una grossa quercia. Costui informò gli abitanti di Castelpagano che accorsero sul luogo dell’apparizione e costruirono una chiesetta, probabilmente gli attuali ruderi dell’eremo di Sant’Agostino nella valle di Stignano. Nel santuario Maria SS. di Stignano sono presenti due tele raffiguranti il castello con il borgo arroccato su di un monte.

Federico II, residente nella vicina Apricena, lo restaurò adeguandolo per i suoi svaghi di caccia e vi installo una guarnigione di fidi Saraceni, da cui il nome poiché i non cristiani venivano chiamati pagani. In seguito il borgo fu feudo di Manfredi , figlio di Federico II e fondatore di Manfredonia, e più tardi fu devoluto ai re per diritto regio. Nel 1496 Ferdinando lo donò a Ettore Pappacoda di Napoli che donò splendore a tutta la zona facendo erigere anche il Santuario di Stignano nel 1515; estinta tale famiglia, tornò al regio demanio. Il 10 marzo 1580 Antonio Brancia , da cui il prende il nome la località sottostante,  lo comperò da  Filippo II per 90mila ducati. Nel 1732 fu dei Mormile , poi lo comperò Don Garzia di Toledo e da questi, nel 1768, il Principe Cattaneo di Sannicandro .
Sicuramente fu soggetto a diversi terremoti, testimoniati da documenti nei quali è narrata la vicenda del 1627 quando Apricena e dintorni subirono enormi danni. Attualmente i ruderi consistono in un muro lungo una cinquantina di metri e alto non più di un metro e mezzo con due aperture che furono due porte dagli stipiti lavorati. Questo muro fa angolo a sinistra con un resto di fabbrica brevissimo, mentre a destra è unito con una torretta circolare che attualmente non supera i cinque metri. Da questa torre parte una muraglia continua lievemente scarpata a picco sulla valle sottostante. Un terzo muro chiude a sud il quadrilatero. In un angolo si erge la torre maggiore a cinque facce alta sei o sette metri. Entro il quadrilatero si vedono tracce di muria ma che non bastano a farci capire la struttura interna del castello.

Castelpagano prima del restauro

Il borgo fu abbandonato all’inizio del seicento gradualmente per il trasferimento degli abitanti ad Apricena, probabilmente a causa della gran penuria d’acqua ed in seguito il complesso fu soggetto allo sciacallaggio dei pastori locali che prelevarono le pietre della struttura per costruire i loro rifugi nella sottostante valle di Sant’Anna. Nei dintorni del castello vi sono innumerevoli anfratti e grotte, ricordiamo quella della Lia c.a. 200 mt., rifugio di briganti nel XIV° secolo. Nei dintorni sono stati trovati diversi reperti, alcuni anche antecedenti all’era medievale e nella ristrutturazione, ancora in corso, sono rinvenuti resti umani quasi a testimoniare la presenza di un cimitero e di conseguenza a confermare la presenza del borgo, quasi certa a causa del ritrovamento di una ingente quantità di pozzi e cisterne necessarie alla vita in una zona così arida e priva di corsi d’acqua.

Alla storia molto spesso si lega la leggenda, e di leggende ve ne sono ben tre:
La prima riguarda l’apparizione della Madonna e narra che un cieco della zona (tale Leonardo Di Falco ) che, nel suo errare per mendicare un po’ di cibo, fu sorpreso nel sonno dalla voce di una donna bellissima, la quale ad un tempo, gli ridonò la vista e gli indicò la pre senza di un suo simulacro nascosto sui rami di una robusta quercia. Il mira colato avrebbe informato subito i vicini abitanti di Castelpagano i quali, col piti dal duplice prodigio, accorsero in processione sul luogo, e costruirono una piccola chiesetta nel luogo della apparizione della Vergine, precisamente nel secondo arco della navata sinistra per chi entra nel tempio. Oltre alla bella leggenda vi è la vera storia la quale narra che nel periodo dell’iconoclastia fu ordinato di distruggere ogni tipo di raffigurazione religiosa, così alcuni monaci nascosero, per salvaguardarla, la statua della Madonna su di una quercia che si trovava proprio dove c’è l’attuale santuario, fino a quando non fu ritrovata da un pastore di Castelpagano che pascolava nella valle… e poi nacque la leggenda. Tutto cio è raffigurato nelle due tele conservate nel santuario di Stignano.

La seconda racconta di una fantastica battaglia tra il maligno e l’Arcangelo Michele che si tenne nella valle di Stignano. Naturalmente l’Arcangelo sconfisse il maligno che aveva prese le sembianze di un gigantesco serpente. Del maligno serpente restarono due ossa. La storia vera ci dice che nel 1774 presso Rodi Garganico si arenò un capodoglio e gli abitanti del sobborgo impauriti dall’innocuo “mostro marino” invocarono l’aiuto della Madonna. Per ringraziare la Vergine della grazia ricevuta, portarono al convento due grosse ossa custodite nel santuario fino a qualche tempo quando furono il santuario fu soggetto a diversi furti.

La terza invece assume più l’aspetto di una storia fiabesca. Questa racconta di un principe saraceno di Castelpagano che si era innamorato di una principessa che viveva su un castello situato sul Monte della Donna. La famiglia della fanciulla, che non voleva dare in sposa la propria figlia ad un saraceno, per ovviare all’inconveniente matrimonio escogitò uno stratagemma: affinché il principe non avesse costruito un ponte fatto con pelli di animale che congiungesse il monte della Donna sino a Castelpagano non avrebbe avuto in sposa la fanciulla. Il principe si prodigò molto al fine di costruire il fatidico ponte ma ossessionato dall’enormità dell’opera impazzì. Tutto ciò non ha nulla di fondato anche se vi sono alcuni riscontri storici. Uno dei tanti è il fatto che davvero nella zona ci fu l’influenza dei saraceni, tanto che l’imperatore Federico II che militava in quelle zone aveva un corpo di guardia esclusivamente saracena. Invece la cosa che sembra più assurda è il fatto che tutti sappiamo che sul monte della Donna non vi è alcun castello, ma la leggenda ha un pizzico di verità. Prima del monte vi è una piana rialzata chiamata Volta Pianezza dove apparentemente non si scorge nulla, ma invece su quel ripiano sorgeva una torre di avvistamento semicircolare oramai diroccata, si scorge solo il perimetro murario.


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